Tra gli strumenti di pianificazione fiscale, atti a rendere più equa la tassazione complessiva delle imprese e dei loro soci, si annoverano le prestazioni accessorie.
Accade spesso che i soci prestino attività nella propria società di capitali ed intendano essere remunerati senza attendere o comunque indipendentemente dalla distribuzione degli utili societari o dal pagamento di un eventuale compenso all’amministratore.
I soci, se subordinati, possono essere anzitutto dipendenti della società. Se questa è la scelta per cui si opta bisognerà valutare con attenzione la sussistenza dei presupposti necessari per non incorrere nel rischio di disconoscimento del rapporto di lavoro.
In alternativa possono essere utilizzate le prestazioni accessorie, remunerando l’attività che i soci prestano nella società, disciplinate dell’art. 2345 del codice civile secondo cui “Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni”.
Pertanto è bene che l’atto costitutivo e lo statuto contengano un’apposita clausola che preveda la possibilità di remunerare le prestazioni accessorie dei soci, anche se la Cassazione ritiene possibile, in contrasto con quanto spesso sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, che tale previsione sia contenuta anche in un verbale dell’assemblea.
Tra i vantaggi delle prestazioni accessorie si annoverano la flessibilità della remunerazione e la possibilità di remunerare il socio che abbia competenze specializzate o che comunque si impegni di più, evitando la proporzionalità della distribuzione degli utili.
Ciò posto, la società che remunera le prestazioni accessorie dei soci può dedurre i relativi costi dal suo utile.
I soci dovranno dichiarare i relativi redditi a seconda della propria situazione soggettiva, ad esempio come reddito di impresa, reddito diverso o di lavoro autonomo.
Fondamentale è la gestione previdenziale di tali remunerazioni. Se il socio infatti ha una sua gestione previdenziale (esempio gestione artigiani e commercianti o cassa previdenziale autonoma) il compenso percepito sarà assoggettato a questa gestione e non alla gestione separata Inps, solitamente molto onerosa.
Dall’applicazione delle suddette regole fiscali e previdenziali ne può conseguire un vantaggio economico complessivo per l’impresa e i soci. Tuttavia, come per tutti gli strumenti di pianificazione fiscale quali rimborsi spese, buoni pasto, fringe benefit, royalties su marchio aziendale, è necessario stare attenti ai molteplici aspetti formali e sostanziali, per non vedersi contestato l’operato da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Lo Studio è a disposizione per tutti i chiarimenti necessari.
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